14 novembre 2013: Proposta di riempire con i bambini le curve chiuse ai tifosi razzisti
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La recentissima proposta sponsorizzata dal Presidente del Coni, Giovanni Malago’, contro il tifo di tipo razzista – che resta comunque diverso da quello violento, e’ opportuno ricordare – appare rivoluzionaria, provocatoria e affascinante, se non presentasse tuttavia una serie di implicazioni pratiche che e’ necessario considerare fin da subito. Non ultimo il rischio di strumentalizzazione della figura del bambino e dell’infanzia quale elemento strategico di contenimento del problema specifico, che e’ soprattutto una questione culturale e sociale di portata emorme, non lo dimentichiamo.

A questo proposito il paragone offerto dallo stesso presidente che associa l’idea di riempire le curve di bambini alla confisca dei beni della criminalita’ organizzata, se da una parte ne coglie acutamente un’analogia simbolica, dall’altra non ne contempla appunto la portata sul piano psicologico e giuridico, elementi che dovranno essere valutati rapidamente, riguardando l’iniziativa una fascia “protetta” quali i soggetti minori di eta’. I bambini offrono senza dubbio una rappresentazione pura e gioiosa di ogni realta’ di cui entrano a far parte, tuttavia a loro non puo’ essere attribuita una funzione “rieducativa” a livello macro-sociale, quando si assiste, in generale e al di fuori dello sport, ad un atteggiamento socio-culturale gia’ poco rispettoso del mondo infantile e dei suoi tempi fisiologici, improntato ad un’adultizzazione precoce finalizzata a rendere il bambino il prima possibile un consumatore della cultura adulta. Troppo spesso infatti l’infanzia diviene vessillo di facciata per promuovere movimenti e logiche finalizzate ad interessi diametralmente opposti e legati, come gia’ ricordato, a strategie di mercato superiori.

Tali considerazioni si rendono assolutamente necessarie e meritano un adeguato approfondimento se si vuole riconoscere la felicita’ d’intenzione e la portata indubbiamente innovativa della proposta.

14 Novembre 2013

Tifo violento: l’errore è continuare a chiamarlo tifo

“La rivoluzione comincia dalle parole” diceva Kant. Se si cominciasse a definire un fenomeno della realtà con il termine che meglio gli si attribuisce, sarebbe gia’ un passo avanti.

Il modo in cui definiamo e descriviamo qualcosa porta con sè determinate conseguenze ed effetti, legati proprio alle implicazioni della terminologia. Cosa hanno in comune la prevaricazione verbale e fisica, la furia distruttiva, la violenza e i danni sulle cose e sulle persone e la PAURA con il tripudio di maglie colorate, le grida di gioia, il sudore e l’adrenalina della competizione, l’emozione sui volti dei migliori atleti di calcio? Niente. Le prime appartengono a ciò che ovunque convenzionalmente si chiama “comportamento violento”, le seconde alle autentiche manifestazioni sportive.

In qualsiasi altro contesto sociale i comportamenti violenti appena descritti sono considerati puri reati e pertanto perseguiti dalla legge. Se per strada una persona qualsiasi sradicasse un cartello stradale per scagliarlo addosso a qualcuno, andrebbe incontro a conseguenze ben precise sia sul piano legislativo che sociale. Questo finchè tali reati – gli stessi se non peggio – non vengono collegati e fatti risalire alle partite di calcio, rubricandoli nella dicitura “tifo violento“; in tal caso non solo non vengono più considerati comportamneti perseguibili, ma addirittura di fronte al lancio di un oggetto ci si stringe nelle spalle, accontentandosi che si tratti di ben poca cosa di fronte a ciò che gli ultras possono arrivare a fare! E così il limite di tolleranza tende progressivamente a salire, nonostante che nuovi decreti e e misure del governo invochino la cosiddetta “tolleranza zero”.

Finchè gli atti violenti saranno etichettati come “tifo violento” (considerandoli una sottocategoria del tifo e non una comune forma di delinquenza) continueranno ad accadere regolarmente e puntualmente ogni domenica, in prossimità geografica e/o temporale con le strutture e gli incontri di calcio, con buona pace di politici, istituzioni e Lega calcio. Ne sono un fulgido esempio gli “incidenti” accaduti nelle piazzole autostradali, “casualmente” correlati con il campionato di calcio, sebbene distanti centinaia di chilometri dai campi di gioco.

 

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