La città, con la sua abnorme concentrazione di stimoli percettivi (uditivi, visivi, cinestesici, olfattivi) si presenta come un contesto ambientale altamente complesso e caotico, in grado di suscitare una gamma infinita e mutevole di stati psicologici ed emozioni. Tale aspetto è legato soprattutto all’influenza degli effetti della vita cittadina sui normali ritmi biologici e circadiani degli individui, che risultano coartati e sempre più privi di pause fra un’attività e l’altra. Si calcola che mediamente la tendenza delle persone è quella di suddividere mentalmente la giornata in unità di tempo di circa 30 minuti-un’ora da dedicare ad ogni impegno per riuscire a farvi rientrare tutto ciò che ritengono importante (ma che in realtà può essere superfluo) con conseguente esposizione ad inevitabile stress dato dall’impossibilità che questa situazione ideale si realizzi.

Le categorie spazio-temporali divengono relative e acquistano un valore totalmente diverso; girando per il centro storico di una città nell’ora di punta uno spazio vuoto di circa 3 metri lungo il marciapiede può sembrare uno spazio infinito e qualcosa per cui si diventa disposti a lottare con il coltello fra i denti; lo stesso vale per una frazione temporale di 5 minuti, che, se trascorsi in attesa, equivalgono ad un lasso di tempo enorme perchè sinonimo di imperdonabile “spreco”. E’ intuitivo come tali presupposti di base, ormai appartenenti alla quotidianità di tutti coloro che vivono in città, non possano di per sè predisporre gli individui ad esperire momenti ed emozioni di tipo positivo; tale condizione di impalpabile scontentezza è facilmente leggibile sui volti delle persone che incrociamo a piedi o che osserviamo dal finestrino dell’auto mentre siamo in coda al semaforo.

Ma città significa soprattutto traffico, ovvero un microambiente a parte, in cui la pressione psicologica e l’iperstimolazione ambientale si fanno ancora più concentrati, schiacciando progressivamente il nucleo individuale in uno spazio sempre più ridotto (l’automobile) che diviene per ognuno una sorta di ambiente privato inviolabile e gelosamente custodito.

Gli aspetti psicologici del traffico più rilevanti risultano:

Effetto privacy: in macchina si trasporta di tutto (dagli oggetti personali alle armi improprie, dagli animali domestici alle vettovaglie per un pasto improvvisato), ci si mette le dita nel naso pensando di non essere visti, oppure si allestisce all’occorrenza una sorta di ufficio o monolocale mobile. Insomma, l’automobile è sempre più uno spazio in cui si finisce per trascorrere molto tempo, un luogo sempre più a immagine e somiglianza del proprietario e che ne riflette la personalità.

Alterazione del normale rapporto uomo-ambiente con ripercussioni cognitive: si stima che il nostro organismo sia fatto per muoversi nel proprio ambiente ad una velocità ideale inferiore agli 8 km/h; questa velocità infatti rende possibile un rapporto uomo-ambiente armonico e adeguato, in cui le funzioni di osservazione, orientamento, attenzione trovano il miglior livello di funzionamento con conseguenti effetti benefici sui vissuti emotivi. Basti pensare al benessere offerto dai ritmi di vita della campagna, che vengono ricercati sempre più spesso da chi vive in città e risulta ormai assuefatto ad un’alterazione cronica dei normali ritmi biologici.

Stenografia percettiva: la velocità degli spostamenti cittadini e il sovraccarico di stimoli (uditivi, visivi, etc..) presente nell’ambiente urbano inducono nelle persone il bisogno di “economizzare” sui tempi di attenzione; di conseguenza mentre viaggiamo in auto tendiamo a dare rapide occhiate nel nostro campo visivo su cui basare la nostra valutazione e le nostre scelte immediate. Queste “scorciatoie” percettive basate sulla fretta non di rado possono indurci in errore esponendoci anche a rischi.

Sottostima del rischio e delle conseguenze del proprio comportamento: confortati anche dalla percezione di maggiore libertà e anonimato offerti dall’abitacolo si può essere portati, in mezzo ad una folla di altri automobilisti, a compiere scorrettezze, a inveire contro altre persone sfogando le proprie frustrazioni o addirittura a porre in essere condotte lesive o delinquenziali senza percepire il danno reale causato alla vittima. Il mezzo infatti altera sensibilmente il rapporto comportamento-effetto. E’ il caso tipico della pirateria stradale, dove le caratteristiche dell’automobile fanno prevalere gli istinti negativi (vigliaccheria, egoismo) su quelli positivi e prosociali (solidarietà, onestà).

Regressione: in auto, e soprattutto in condizioni di pressione psicologica causata dal traffico intenso, le persone tendono ad avere una caduta dei normali livelli di performance cognitiva, divenendo prigionieri di processi emotivi di tipo ansioso che abbassano drasticamente la resistenza alla frustrazione. Di conseguenza in queste circostanze è una tendenza frequente quella di esprimere i peggiori istinti e le emozioni più primitive (aggressività, prevaricazione, mancanza di rispetto) sia come modalità di linguaggio analogico (“io ho la macchina più grande e quindi comando io”) sia come effetto di dinamiche collettive che trasformano il singolo rispetto alla sua dimensione individuale.

 

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