La psicologia legata alla decisione arbitrale rappresenta una delle sfide più stimolanti mai intraprese dalla psicologia, per la portata degli esiti conseguenti ai processi decisionali messi in atto e dei contesti di svolgimento.

In ambito sportivo professionistico, più specificamente calcistico, il livello di prestigio nell’ambito del quale si svolgono i processi arbitrali è direttamente proporzionale alla complessità delle operazioni decisionali. La figura dell’arbitro in competizioni d’elite in particolare risulta straordinariamente simile a quella del giudice o del giurato in ambito giudiziario, per la pressione esercitata sul soggetto dall’anticipazione mentale degli effetti della decisione, che risulta influenzata da una molteplicità di fattori. Il particolare contesto decisionale, inoltre, presenta già inizialmente una sproporzione fra i margini in cui tale decisione avviene (ridotti) e le conseguenze (amplificate), disparità che costituisce elemento di distorsione psicologica sul decisore, che sarà portato a percepirsi ancora più influente. Nel corso della costruzione del giudizio l’arbitro può incorrere in alcuni “errori sistematici” tipici dell’attività di giudizio e di decisione espressi da qualsiasi individuo.

Tutti gli attori coinvolti in una situazione di gioco: arbitro, assistenti, giocatori, allenatori sono esposti agli stessi condizionamenti del funzionamento del sistema cognitivo che sono oggetto di indagine psicologica ormai da trent’anni.

I meccanismi di decision making sfruttano strategie sistematiche e ben riconoscibili, che talvolta possono indurre il decisore ad errori di valutazione del contesto, tipicamente:

Euristica della simulazione: strategia di ragionamento in base alla quale noi identifichiamo la causa o le cause di un certo evento inatteso. Ogni evento che accade viene interpretato e valutato in un contesto mentale ricco di rappresentazioni di come i fatti che compongono l’evento avrebbero potuto svolgersi, conducendo ad esiti differenti da quelli reali. Il confronto fra la realtà e i differenti scenari alternativi viene effettuato dal decisore ricorrendo tipicamente all’utilizzo di una euristica. Si tratta di una procedura pragmatica volta a simulare la realtà: il decisore si costruisce un contesto virtuale in cui non sia accaduto l’evento inatteso asportando il fatto supposto responsabile dell’evento inatteso. Di solito i soggetti tendono a manipolare la causa eccezionale, l’elemento fuori dalla norma, che avrebbe prodotto la comparsa dell’ effetto inatteso, piuttosto che una dimensione continua, come il tempo. Secondariamente i soggetti manipolano più frequentemente l’evento collocato prima temporalmente (effetto primacy), e gli eventi che sono sotto il controllo intenzionale del soggetto, piuttosto che quelli dipendenti da fattori esterni. Differenze fra diversi gradi di expertise: i più esperti fanno ricorso al ragionamento controfattuale, cioè prendono in considerazione più alternative riguardanti il fatto rispetto agli altri. Inoltre gli arbitri più esperti si modulano fra loro e attivano organizzazioni di categorie (chunks).

Errori nell’attribuzione: nell’individuazione delle responsabilità si possono commettere errori sistematici nell’attribuzione di certi effetti a persone che presentano certe caratteristiche (ad esempio in base alla precedente formazione di un pensiero stereotipino cui si riallaccia un prototipo plausibile).

Euristica di rappresentatività: tanto più noi riteniamo che il dato osservato o riferito sia rappresentativo della categoria dalla quale è tratto tanto più elevata riterremo la probabilità che quel dato sia vero.

Euristica di disponibilità: si basa sulla tendenza a ritenere che un evento sia tanto più probabile quanto più facilmente vengono in mente esempi di quell’evento. (Un arbitro esperto riesce a recuperare dalla memoria un numero elevato di casi analoghi rispetto a uno meno esperto).

Euristica di evocabilità: un’informazione connotata da un certo grado di vividezza può essere utilizzata più facilmente nel processo di attribuzione di responsabilità rispetto ad un’informazione meno vivida per il suo potenziale evocativo sulla memoria.

Framing effect: le nostre scelte dipendono da come incorniciamo gli elementi a nostra disposizione (in luce positiva o negativa, etc..).

Correlazione illusoria: errore che si verifica quando si valuta la probabilità o la frequenza con cui due eventi possono verificarsi congiuntamente, rilevando una correlazione tra due classi di eventi che in realtà non sono connessi o lo sono in misura molto minore di quella soggettivamente rilevata.

Paradosso del calvinista: tendenza ad attribuire il verificarsi di certi eventi alle persone o alle caratteristiche delle persone piuttosto che alle situazioni; in pratica è il prodotto di un autoinganno basato sullo scambio degli effetti di una cosa con la causa.

La cosiddetta “sudditanza psicologica”: cos’è?

Ciò che in ambito calcistico viene comunemente chiamata “sudditanza psicologica” in realtà è un meccanismo psicologico frutto delle suddette influenze esterne in grado di condizionare in modo parzialmente inconsapevole il processo di valutazione, in misura tanto maggiore quanto minore è il tempo a disposizione per la decisione stessa.

In particolare, la sudditanza è determinata da valutazioni immediate di tipo emotivo, che portano il decisore ad orientare il giudizio in base ad una preferenza netta per l’opzione “mi conviene” (sicurezza) rispetto a ciò che “sarebbe giusto” (razionalità) in quel momento. In pratica il conflitto fra le due tendenze si risolve a favore dell’opzione associata alla convenienza per il decisore. Se tale meccanismo erroneo non viene contrastato da un’autorità superiore esso può cronicizzarsi nella tendenza all’errore sistematico, alterando irrimediabilmente le regole del contesto.

Pertanto la tendenza ad essere sudditi nella decisione dovrebbe essere contrastata precocemente con appositi training psicologici di riconoscimento degli errori per il raggiungimento di una indipendenza di giudizio; nel caso degli arbitri di calcio con specifici cicli formativi a partire dalle classi provinciali della federazione.

La Video Assistant Referee (VAR)

L’introduzione, da tempo dibattuta, della cosiddetta “moviola in campo” si fonda proprio sul principio della fallacia della decisione arbitrale originale, che abbiamo visto essere in buona parte di tipo “istintivo” per quanto sopra descritto, contemplando la possibilità di inserire l’elemento temporale nel processo decisionale. 

In pratica, lo strumento tende a riportare l’atto decisionale su un piano logico-razionale limitando al massimo l’impatto dei fattori inconsci ed emozionali del soggetto che decide, in questo caso l’arbitro (e naturalmente il suo staff di assistenti). 

Tale procedura tende ad accentuare notevolmente la percezione, ormai imperante, in base alla quale sarebbe possibile esercitare un “controllo del fattore caso” sul terreno di gioco e quindi raggiungere col tempo un notevole grado di prevedibilità del risultato. Aspetto che, in realtà, sappiamo non essere possibile per tutta una serie di meccanismi che la psicologia è in grado di spiegare.     

 

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