L’irresistibile spinta del marcatore a togliersi la maglietta
Da gesto di naturale esultanza inizialmente libero, l’abitudine dei calciatori di sfilarsi e lanciare la propria maglia dopo il goal è divenuto un atto punibile sul campo dopo le modifiche al regolamento introdotte dal 1° luglio 2002. Eppure nemmeno l’effetto sanzionatorio (l’ammonizione e quindi l’eventuale espulsione per precedente ammonizione) sembra poter contenere la spinta a svestirsi del giocatore che ha appena segnato, noncurante delle conseguenze pratiche del proprio gesto.
Vezzo infantile o spinta irrazionale e quindi incoercibile?
La questione è da sempre al centro della chiacchiera calcistica, che di fronte a tale spinoso paradosso si schiera secondo la tradizionale divisione in colpevolisti (il regolamento è giusto e il giocatore è irresponsabile) e innocentisti (è il regolamento ad essere troppo rigido e il giocatore deve essere libero di esternare la propria emozione).
La posizione delle scienze umanistiche che analizzano il comportamento del giocatore alla luce dell’analisi degli obiettivi che egli è chiamato a prefiggersi in quel contesto pone l’accento sul delicato equilibrio fra razionalità (e quindi responsabilità) ed emotività (di cui la dimensione di gioco è intrisa per antonomasia). L’esigenza di mantenere un adeguato livello delle funzioni razionali è nel caso specifico obbligatoria e dettata dal carattere professionistico del calcio d’elite, dove il calciatore è in primo luogo un dipendente di un’azienda e pertanto sottoposto a determinati obblighi nei confronti della stessa, fra cui evitare di arrecarvi un danno a causa di un comportamento non conforme al regolamento. Il fatto che l’azienda in questione sia un club calcistico e che il dipendente sia un calciatore patinato rende difficile tale percezione, soprattutto da parte del giocatore il quale tende a sottostimare la gravità del danno conseguente al proprio gesto (ammonizione) nei confronti della propria squadra e quindi della società che rappresenta.
Ma vediamo quali sono le ragioni psicologiche profonde che possono spiegare il perchè e il come dell’irresistibile spinta di alcuni giocatori a togliersi la maglia dopo aver segnato un goal:
- Una scarica neuroendocrina fortissima che può essere tanto maggiore quanto più tensione è stata accumulata in precedenza per segnare quel goal
- L’aspetto liberatorio del trasgredire quanto imposto dall’arbitro (e quindi sarà tanto più probabile quanto più il giocatore ha percepito decisioni arbitrali contro di sè nel corso della gara)
- Il bisogno di dimostrare del giocatore nei confronti di tutta la platea (pertanto più probabile nel caso di un giocatore che esce da un periodo critico o da un “digiuno” di goal)
- La spinta narcisitica del bomber sregolato e capriccioso, legato a fattori di personalità immatura (da analizzare e correggere da parte dell’allenatore)
- Il gesto rappresenta la fusione dei sistemi motivazionali umani dell’aggressività e della sessualità, dove lo sfoggio della performance fisica e atletica veicola un inconscio messaggio di virilità e potenza sessuale (derivante dal comportamento animale).
- Il bisogno di affermazione della propria identità, legata alla volontà di distinguersi e divenire leggende del proprio tempo (esemplificata dalla tendenza dei giocatori ad esibire frasi e slogan scritti sul proprio petto quale “marchio di fabbrica” e segno di unicità).