Videoterapia

Il rapporto fra il mondo dello schermo e, in generale, del video con la psicologia e’ molto stretto. Infatti la combinazione di diversi stimoli sensoriali, quando ben riuscita, risulta essere in grado di suscitare un’esperienza molto intensa, che tipicamente coinvolge due livelli: uno cognitivo e uno emotivo, attraverso i processi di elaborazione degli input che avvengono in differenti aree cerebrali. Tale esperienza puo’ essere altamente plasmante sulla mente del soggetto spettatore, sia in senso negativo che, fortunatamente, positivo. Possiamo averne la conferma dal nostro stato d’animo ad esempio dopo la visione di un film al cinema e, di conseguenza, da come orientiamo le nostre scelte in merito.

La psicologia ha iniziato, in tempi relativamente recenti, ad utilizzare costruttivamente e a livello terapeutico i contenuti di alcune produzioni video di qualita’ (a livello cinematografico, ma anche musicale, teatrale, etc..) attraverso la conoscenza e il sapiente utilizzo dei meccanismi che tali visioni sono in grado di innescare nell’uomo.

All’interno dei programmi di recupero per particolari detenuti (ad esempio i sex offenders) nei contesti penitenziari gia’ da tempo viene utilizzato proficuamente lo spazio del Cineforum, all’interno del quale vengono proposte e commentate con uno specialista alcune visioni di film a tema. I risultati che si possono ottenere con questa metodologia sono considerevoli. Nella pratica clinica sono molti i contesti di applicazione della “videoterapia”. Alcune produzioni, per una combinazione speciale di elementi come immagini, sonoro, sceneggiatura, sono particolarmente indicate per suscitare emozioni e meccanismi identificativi a valenza positiva.

Nel mondo del video la comunicazione non verbale riacquista pienamente la propria importanza, costituendo l’aspetto determinante nel creare un legame fra protagonista e spettatore. Alcuni video di particolare qualita’ riescono a creare configurazioni emotive molto intense e, in assenza del linguaggio verbale vero e proprio, giungono comunque a stimolare vissuti positivi nello spettatore, che sara’ naturalmente portato a ricreare nella propria esperienza stati simili, o comunque a provarci.

Ne deriva la possibilità anche di utilizzare filmati, video clip o film a scopo di self-help (autocurativo), laddove la particolare combinazione dei personaggi, delle immagini ambientali, degli stimoli visivi ed uditivi e’ in grado di procurare a se stessi emozioni e vissuti positivi, inducendo un’esperienza emozionale positiva.

Mindfulness

Mindfulness letteralmente significa una modalità di prestare attenzione, momento per momento, nell’hic et nunc («qui ed ora»), in modo intenzionale e non giudicante, al fine di risolvere (o prevenire) la sofferenza interiore e raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza che comprende: sensazioni, percezioni, impulsi, pensieri, parole, emozioni, azioni e relazioni.

Migliorare questa modalità di prestare attenzione permette di cogliere, con maggiore prontezza, il sorgere di pensieri negativi che contribuiscono al malessere emotivo. La padronanza dei propri contenuti mentali e degli stili abituali di pensiero (capacità di automonitoraggio e metacognizione) permette maggiori possibilità di esplorazione, espressione e cambiamento di tali contenuti.

E’ un approccio che si basa sull’analisi del vissuto e delle sue potenzialita’. La teoria della mindfulness parte dalla riscoperta di metodi di cambiamento psicologico improntati a modalità intuitive di conoscenza di sé, concentrazione sulle sensazioni, in integrazione a metodi discorsivi e verbali di risoluzione dei problemi. In altri termini, prima di promuovere la messa in discussione delle convinzioni erronee o irrazionali che generano la sofferenza, il terapeuta agisce aiutando innanzitutto la persona a cambiare la relazione con i propri contenuti mentali. Si è arrivati ad osservare che gran parte della sofferenza dipende infatti dall’identificazione coi pensieri (“io sono i miei pensieri”, “i pensieri sono fatti“), mentre il primo passo verso il cambiamento avviene grazie ad un allontanamento cognitivo dalle esperienze che si impongono nel campo di coscienza (“io ho dei pensieri”, “i pensieri sono ipotesi“). Ciò consente un’esperienza più aperta alla sensazione e al vissuto emotivo, meno gravata dal peso di un cognitivo a volte troppo esigente.

Associazione di emozioni

Chi di noi nel proprio quotidiano non ha sperimentato la classica sensazione descritta come “mi si è accapponata la pelle dall’emozione”?

Tutti quanti.

Questo particolare vissuto può associarsi a circostanze ed eventi diversi (un tramonto mozzafiato, una canzone struggente, una notizia inaspettata, la vicinanza di qualcuno o qualcosa di speciale, etc..) ma l’aspetto più rilevante è che esso esiste in natura e costituisce il risultato di una combinazione di risposte bio-psico-fisiologiche a stimoli che possiamo individuare e ricercare, con la certezza che esse ci saranno sempre. 

Lo studio e l’utilizzo di tali associazioni di stimoli e’ stato recentemente oggetto di ricerche specialistiche, ad esempio nell’analisi del gusto attraverso l’Esperimento Vino e Musica.

Solitamente tali vissuti sono facilmente riconoscibili perche’ ci si continua a pensare spesso e a lungo (dopo averle sperimentate), a conferma del fatto che siamo naturalmente inclini a desiderare che riaccadano e quindi a cercare di riproporle per cio’ che ci danno.

La scienza psicologica conosce bene la differenza fra capire e sentire; solo unendo il piano cognitivo con quello esperenziale (ovvero far sperimentare a qualcuno sulla propria pelle un’emozione) si e’ realmente in grado di produrre in una persona un’ esperienza di consapevolezza e di cambiamento.

Ormai la vita moderna ha “brutalizzato” gli esseri umani, privandoli sempre piu’ di occasioni (piccole e grandi) per provare autentiche emozioni, che vengono rimosse e “preconfezionate” in compartimenti stagni per essere consumate in pochi appositi spazi (ad esempio al cinema o nei sabati di Maria De Filippi); tutto il resto viene percepito come un susseguirsi incessante di impegni frenetici (spesso senza alcun senso), in cui le emozioni, che richiedono i loro tempi e le loro modalita’, sarebbero solo di intralcio.

Così progressivamente ci siamo inariditi, affidando le nostre passioni alla tecnologia, che riteniamo meno rischiosa e infida di un altro essere umano pensante.

Per contrastare tale tendenza (decisamente nociva perché va ad incrementare il livello di stress quotidiano) è necessario riappropriarsi del diritto ad esprimere le proprie emozioni, vivere la propria vita non banalmente ma con curiosità e rispetto di sé, che la bellezza del sentire un’emozione non è omologata, è un’esperienza soggettiva, diversa per ognuno di noi, e deve essere scoperta nelle nostre personali configurazioni emotive.